Il comitato Cultura consiglia
CARL SCHMITT - Terra e mare
Nicolaus Sombart ha sostenuto che Terra e mare è il libro "più
bello, anzi, più importante" di Carl Schmitt. Anche se non si
condividesse il giudizio del figlio del celebre sociologo Werner, è
difficile non ammettere che Terra e mare è una delle opere che meglio rappresenta la complessità teorica del pensiero schmittiano.
Come risulta dal sottotitolo dell'edizione originale - Eine weltgeschichtliche Betrachtung - il saggio schmittiano vuole essere un tentativo di reinterpretazione della storia universale. Terra e mare
è sicuramente opera di un giurista, ma dal contenuto tutt'altro che
esplicitamente giuridico. Chi conosce anche solo marginalmente la
personalità di Schmitt non rimane sorpreso né dalle finalità del saggio,
né dal fatto che l'autore abbia cercato di esprimere il senso della
storia umana in cento pagine scarse e - per di più - in forma di
racconto alla figlia Anima, che nel 1942 - anno della prima edizione
tedesca del testo - era appena undicenne.
Il fascino di Terra e mare va ricercato nell'abilità con cui
Schmitt tenta di interpretare la storia del mondo attraverso categorie
'elementari'. Convinto che la Weltgeschichte non possa essere
compresa per mezzo di concetti 'occasionali' - la cui validità è
limitata in senso sia spaziale sia temporale - Schmitt si serve di ciò
che la filosofia presocratica aveva individuato come "le radici di tutte
le cose": terra, acqua, fuoco e aria.
In Terra e mare Schmitt sostiene che "la storia del mondo è
storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze
di terra contro potenze marinare". È alla luce della contrapposizione
tra questi due elementi, biblicamente rappresentati dai mostri Leviathan e Behemoth,
che Schmitt rilegge le grandi dicotomie della storia umana: amico e
nemico, ordine e disordine, guerra e pace, paura e sicurezza, bene e
male. L'uomo è per natura un "essere terrestre, un essere che calca la
terra". Ma egli è anche "un essere che non si riduce al suo ambiente",
conoscendo "non solo la nascita, ma anche la possibilità di una
rinascita". Se la contrapposizione tra terra è mare è dunque una
costante della storia umana - Atene versus Sparta, Roma versus
Cartagine - è però solo con l'età moderna che l'uomo 'rinasce' quale
'figlio del mare'. Secondo l'ipotesi schmittiana, a rendere possibile il
completamento della trasformazione dell'esistenza umana da terrestre a
marittima è l'evento che segna l'inizio della modernità: la scoperta di
un 'nuovo mondo'. In un racconto che preferisce le figure eroiche del
baleniere e del pirata a quelle dei Colombo e dei cercatori d'oro,
Schmitt descrive la definitiva presa di coscienza da parte del genere
umano della 'globalità' di un pianeta che apparve allora improvvisamente
'più grande' per la scoperta di un nuovo continente, ma anche 'più
piccolo', per la conquista degli oceani e le possibilità di collegamento
che ne derivavano.
Nella ricostruzione schmittiana la modernità ha inizio con la
"rivoluzione spaziale planetaria" innescata dalla scoperta del 'nuovo
mondo'. Una Raumrevolution che spazzò via le concezioni
geografiche, ma anche politiche, economiche e culturali dell'antichità e
del medioevo. Schmitt ritiene che fu l'Inghilterra ad intuire per prima
- e a sfruttare - le enormi potenzialità che scaturivano della nuova
visione globale. Da 'isola' essa si trasformò in 'pesce': come una nave o
un pesce essa poteva raggiungere via mare qualsiasi altra parte del
pianeta, "centro mobile di un impero mondiale frammentariamente diffuso
in tutti i continenti". Nella scelta a favore di un'esistenza marittima
Schmitt vede la chiave della vittoria inglese - e calvinista - sulle
potenze cattoliche europee e la premessa della creazione di un impero
mondiale.
La scoperta di un nuovo mondo da conquistare aveva reso possibile una
comunità dei popoli europei, "cristiani e civilizzati", contrapposta al
resto del mondo. L'ordinamento di tale "famiglia delle nazioni" era
basato sul reciproco riconoscimento della statualità e della sovranità
dei soggetti che ne facevano parte. Questo jus publicum europaeum
riuscì a limitare - anche se non ad eliminare - i conflitti civili e di
religione che infuriavano in l'Europa, dando forma alla guerra
(terrestre), ossia regolandola come scontro tra Stati, e quindi tra
eserciti, con l'esclusione della popolazione civile dalle ostilità. Ma
la scoperta delle Americhe aveva reso possibile anche l'apertura del
"vaso di Pandora" in cui terra e mare erano stati fino ad allora
contenuti, mostrando la reale portata del conflitto tra i due elementi.
Come nella Bibbia il Leviathan lotta con il Behemoth
serrandogli la bocca ed il naso, e dunque affamandolo e togliendogli il
respiro, così la "nuova guerra" (marittima) non è più rappresentata
dalla battaglia navale classica - quale era stata ancora la battaglia di
Lepanto -, ma è condotta invece attraverso strumenti come il blocco
marittimo, che non distingue tra combattenti e popolazione civile, e che
- criminalizzandolo e discriminandolo moralmente - "assolutizza" il
nemico.
Nella nuova contrapposizione elementare tra terra e mare Schmitt vede
il pericolo di una guerra totale. Cancellate le "linee di ostilità"
alla base della distinzione tra amico e nemico, ed insieme ad esse i
concetti classici di guerra e di pace, Schmitt avverte dei pericoli
legati alle aspirazioni universalistiche di una grande potenza emergente
- la "isola maggiore" statunitense - che invece di essere kathecon, forza frenante, di un possibile "conflitto civile mondiale", rischia di esserne l'acceleratore, il Beschleuniger.
Come avrebbe dimostrato il conflitto mondiale, a complicare il quadro
sarebbe intervenuta l'entrata in scena di due nuovi elementi, l'aria e
il fuoco, destinati a ridisegnare il rapporto tra terra e mare e quindi a
creare le premesse di una nuova rivoluzione spaziale. La conquista
dello spazio aereo ed un progresso tecnologico senza precedenti segnano
la fine del nomos della terra assicurato dallo jus publicum europaeum.
Ma a chi vede solo morte e distruzione, il disordine o la fine del
mondo, Schmitt risponde che "anche nella lotta più accanita fra le
vecchie e le nuove forze nascono giuste misure e sensate proporzioni".
In un'analisi che risente più della lettura di Melville che di quella
di Burckhardt, Schmitt intesse un racconto che spazia dallo storico al
giuridico, dal mistico al mitico. Frutto di un interesse già manifestato
per la contrapposizione tra terra e mare - basti ricordare il saggio Staatliche Souveränität und freies Meer (Sovranità dello Stato e libertà dei mari) - Land und Meer è la tappa decisiva del percorso teorico che portò Schmitt dalla Großräumetheorie degli ultimi anni '30 all'elaborazione della teoria del nomos di cui Der Nomos der Erde, con le sue intuizioni geopolitiche, sarà la più riuscita esposizione.
recensione a cura di
juragentium.unifi.it
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