Esistono davvero università di serie A e università di serie B?
Molto spesso, anche in questo blog, è passato il messaggio che chi si iscrive a facoltà umanistiche avrebbe meno speranze di trovare lavoro una volta finita l’università. Ne parliamo oggi con Daniela Cardini, ricercatore confermato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi, docente di Tecniche e generi della fiction radiotelevisiva presso il Corso di laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università Iulm e docente di Format e prodotti televisivi presso il Corso di laurea magistrale in Televisione, Cinema e New Media, sempre alla Iulm.
Molto spesso, anche in questo blog, è passato il messaggio che chi si iscrive a facoltà umanistiche avrebbe meno speranze di trovare lavoro una volta finita l’università. Ne parliamo oggi con Daniela Cardini, ricercatore confermato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi, docente di Tecniche e generi della fiction radiotelevisiva presso il Corso di laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università Iulm e docente di Format e prodotti televisivi presso il Corso di laurea magistrale in Televisione, Cinema e New Media, sempre alla Iulm.
Secondo lei è vero che ci sono università che garantiscono più sbocchi lavorativi e altre che non lo fanno per niente?
Io parto dal presupposto che l’università debba prima di tutto insegnare a pensare e non a lavorare. A mio avviso una buona università dà gli strumenti per usare bene la propria testa e quando si riesce davvero a farlo poi ci si può presentare sul mercato del lavordiversamente valore diverso. E in questo senso, le università umanistiche hanno una marcia in più nonostante si creda il contrario.
In che senso?
Nel senso che se ti laurei in ingegneria biochimica, o in qualunque altro ambito molto specialistico, il tuo percorso di studi ti indirizza verso un settore molto specifico. E se questo settore è saturo diventa più difficile riciclarsi. Poi le generalizzazioni sono sempre sbagliate ma credo che moltissimo stia nelle capacità individuali di chi compie un percorso di studio che dovrebbe essere serio, di approfondimento. In quest’ottica non mi sorprende chi si laurea in filosofia e finisce a lavorare con successo in ambiti apparentemente lontani da quella facoltà.
Ma quindi tutte le facoltà hanno uguale dignità?
Ci sono delle discriminanti. Le facoltà universitarie, le sedi, sono tanto più credibili quanto più sono solide, strutturate. Bisogna vedere anche la serietà dei docenti che ci lavorano e che possono garantire una buona preparazione. In questo senso le facoltà con una tradizione dovrebbero garantire dei percorsi di studio più solidi. Ci sono insomma molti fattori. Di certo sarebbe meglio non iscriversi a un corso solo perché e’ vicino a casa.
Lei insegna anche nel corso di Scienze della Comunicazione, spesso bersagliato e criticato. Come la vede?
In questo senso sono i dati che parlano. Lo stereotipo è forte ma i dati di Alma Laurea sono sorprendenti guardando all’assorbimento nell’ambito lavorativo di chi si laurea in Scienze della Comunicazione. Inoltre, si parla di profili compatibili con il percorso di studio. Alla Iulm insegno anche nella laurea magistrale in Televisione, Cinema e New Media e, anche lì, i dati di assorbimento sono molto positivi. Questa è la mia esperienza.
I ragazzi sono arrabbiati con l’università italiana. Si sentono traditi: dopo aver speso anni sui libri spesso si ritrovano con nulla in mano…
L’università italiana ha tante pecche, è vero. Ma ne ha molte anche il mondo del lavoro: ci sono tantissime barriere all’entrata. Poi se vogliamo, si può discutere del valore legale del titolo di studio, ma non tutte le responsabilità per la mancanza di opportunità ai giovani sono da ricercare nell’università. Sappiamo bene che aziende faticano ad assumere. E’ un sistema complesso, con responsabilità diffuse: e’ una questione molto delicata ed e’ difficile generalizzare. Nella mia personale e pluriennale esperienza, tuttavia, gli stage hanno un valore formativo enorme: se l’azienda selezionata dall’università e’ seria e il candidato altrettanto, il risultato e’ comunque positivo.
Si parla sempre delle mancanze dell’università e di quelle delle aziende. Ma i ragazzi che responsabilità hanno?
Non do responsabilità ai ragazzi e non gliele tolgo, perché in vent’anni ho visto tante persone brave e preparate e tante altre svogliate: adesso non e’ peggio di prima. In generale forse i ragazzi oggi sono più disorientati e meno motivati, questo si. Ma, anche qua, e’ difficile generalizzare.
E che consiglio si sente di dare ai giovani che stanno per scegliere a che università iscriversi?
Di seguire la loro passione. Non lo dico per dire: in un mondo in cui ci sono difficoltà reali, è più semplice superarle se sei motivato dalla passione per quello che fai. Se invece hai scelto una facoltà per convenienza, superare i momenti difficili diventa più complicato.